Pagine

SERBATOI INTERRATI


Nella valutazione degli elementi di rischio di inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee, un ruolo importante viene giocato dalla presenza di serbatoi interrati contenenti sostanze liquide classificate pericolose per l’ambiente. La conferma viene dal fatto che gli episodi accertati di contaminazione dei suoli e delle falde idriche sono spesso correlati a sversamenti di liquidi provenienti da serbatoi interrati, causati sia da cedimenti strutturali sia da cattiva gestione degli impianti.
In questo contesto, con il DM 24/05/1999 n. 246, erano stati fissati in ambito nazionale i requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e l’esercizio di serbatoi interrati, che il citato decreto definiva come “contenitori di stoccaggio situati sotto il piano campagna di cui non sia direttamente e visivamente ispezionabile la superficie esterna”. La norma prendeva in considerazione i serbatoi interrati aventi capacità uguale o maggiore ad un metro cubo, contenenti le sostanze ed i preparati liquidi elencati nel D.Lgs 132/92, con alcune esclusioni riguardanti casi particolari e ben definiti; rimanevano fuori dal campo di applicazione del DM 246/99 i serbatoi interrati utilizzati nelle zone militari (se altrimenti regolati), quelli utilizzati per l’alimentazione degli impianti di produzione calore (se con volume totale non superiore a 15 m3), quelli destinati allo stoccaggio di gas di petrolio liquefatto (GPL), quelli contenenti carburante per aviazione su aree demaniali in sedimi aeroportuali ed infine quelli esistenti, completamente rivestiti in camicia di cemento armato o malta cementizia, utilizzati per lo stoccaggio di prodotti liquidi di capacità superiore a 100 m3 (purché sia garantita nel tempo la loro tenuta).
Il citato decreto non rappresentava l’unica norma nazionale relativa alla gestione dei serbatoi interrati, innestandosi infatti in un panorama legislativo già ricco di provvedimenti che tuttavia, per quanto concerne il settore specifico dei serbatoi, risultano in gran parte finalizzati agli aspetti della sicurezza antincendio.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 19/07/2001 n. 266, ha annullato il decreto, sancendo che “non spetta allo Stato, in difetto di esplicita autorizzazione legislativa ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, emanare il decreto del Ministro dell’ambiente 24 maggio 1999, n. 246 (Regolamento recante norme concernenti i requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e l’esercizio di serbatoi interrati).Va conseguentemente annullato lo stesso decreto del Ministro dell’ambiente 24 maggio 1999, n. 246, atteso che esso è privo di "base legislativa" e pertanto lesivo dell’autonomia provinciale”.
Com'era prevedibile, la vacatio legis venutasi a creare con l'annullamento del DM 246/99 da parte della sentenza n. 266 dd. 19/07/2001 della Corte Costituzionale, ha comportato un progressivo abbassamento del livello di attenzione, nell'accezione più generale del termine, nei confronti della problematica dei serbatoi interrati.
Nella materia in questione, a livello nazionale ed a valle dell'annullamento del citato decreto, è stato promulgato unicamente il DM 29/11/2002 che, fissando i nuovi requisiti tecnici per la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei serbatoi interrati destinati allo stoccaggio di carburanti liquidi per autotrazione, limita l'applicazione della norma ai soli impianti di distribuzione carburanti di nuova installazione. Restano comunque in vigore, per i serbatoi interrati non contenenti carburanti liquidi per autotrazione, le norme pregresse, quali ad es. il DM 31/07/1934 (Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi).
Quest’ultima norma rimane, inoltre, la norma di riferimento per tutti i serbatoi installati antecedentemente all’entrata in vigore del DM 29/11/2002 e soggetti ad attività di collaudo.

art. 192 D.lgs. 152/06

Il rinvenimento di rifiuti presso qualsiasi area deve essere comunicato al Comune (ente competente in materia) secondo la procedura prescritta dalla normativa in materia ambientale (art. 192 d.lgs. 152/06).

Le fasi da attuare possono essere come di seguito riassunte:
  1. indagine preliminare e predisposizione di progetto di rimozione rifiuti (Piano),
  2. richiesta di approvazione del Piano da inoltrare al Comune,
  3. approvazione del Piano da parte del Comune,
  4. rimozione e smaltimento rifiuti rinvenuti,
  5. predisposizione di relazione finale di avvenuto smaltimento contenente le indicazioni sulle verifiche dei fondi scavo,
  6. verifica del rispetto dei limiti normativi dei parametri del terreno sottostante i rifiuti, eventualmente alla presenza di ARPA (secondo le disposizioni proprie del dipartimento di appartenenza),
  7. certificazione da parte del Comune dell'attuazione del Piano.

NORMALIZZAZIONI EMISSIONI


La normalizzazione delle portate nel caso di analisi su effluenti gassosi da camini avviene nel seguente modo.
Le condizioni di normalizzazione sono 0 °C e 101,3 kPa sia per la portata normalizzata umida (Nm³/h) che per la portata normalizzata secca (Nm³/h).
Partendo quindi dalla portata effettiva (nota la temperatura cui viene emessa) si procede con la normalizzazione umida tramite trasformazione lineare:

P effettiva [Nm³/h]= P normalizzata umida [Nm³/h]* 273 [K] / Temp normalizzata umida [K]

La portata normalizzata secca (Nm³/h) si ottine così:
P normalizzata secca [Nm³/h]= P normalizzata umida [Nm³/h]x (1-umidità% [% v/v])

FONTE: http://aing.biz/drpl/?q=node/39

RECUPERO AMBIENTALE DI AREE MORFOLOGICAMENTE DEGRADATE

Se si cerca quale regione o provincia in Italia si sia dotata di linee guida per la gestione degli interventi di recupero ambientale (R10) non si trova niente se non da parte della Provincia di Gorizia datata aprile 2009 da cui si prende spunto.
Confrontandola con indicazioni di altre Province e con la normativa di settore DM 05.02.98 è possibile costruire una procedura.


La definizione di “recupero ambientale” data dall’art. 5 del D.M. 5 febbraio 1998 rappresenta una precisazione della definizione generale data dal D.L.vo 152/2006 per l’operazione di recupero contraddistinta dal punto R10 dell’elenco di cui all’Allegato C alla Parte quarta del medesimo decreto. Infatti, essa consiste nello “spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia” di rifiuti, tal quali o sottoposti a specifico trattamento.

Alla lettera d) del comma 2 dell’art. 5 del D.M. 5 febbraio 1998, si afferma che “L’utilizzo di rifiuti nelle attività di cui al comma 1 è sottoposto alle procedure semplificate (…) a condizione che: (…) sia compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area da recuperare.”
Di tutti i rifiuti per i quali la norma ammette a determinate condizioni specifiche (enunciate dal pertinente paragrafo per ciascuna tipologia) l’utilizzo per le predette finalità è altresì condizionato al possesso dei requisiti generali di compatibilità di cui all’art. 5.
Proseguendo nella lettura, infatti, la successiva lettera d bis) - introdotta dall’art. 1, co. 1, lett. b) del D.M. 186/2006 - chiarisce che: “in ogni caso, il contenuto dei contaminanti sia conforme a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione della specifica destinazione d’uso del sito”.
Tale ultima condizione è generale (“in ogni caso”, recita la norma e cioè anche quando siano già accertate tutte le precedenti) ed aggiuntiva. Lo stesso, vale per il “test di cessione” laddove previsto.
Si deve esaminare la tipologia del sito di destino dove restituire determinate tipologie di materiali che dalla terra sono stati estratti. Es. le scorie di fonderia, presentano una composizione chimica simile a quella dei minerali da cui sono estratti i metalli essendo in gran parte costituite da ossidi metallici, quindi risultano particolarmente indicate per il ritombamento dei giacimenti.

La norma che disciplina gli interventi in questione è costituita dall’art. 5 del D.M..
Il co. 1 dell’art. 5 recita: “Le attività di recupero ambientale individuate nell’Allegato 1 consistono nella restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici.”

Quindi occorre dimostrare:
- stato di degrado dell’area;
finalità del progetto, cioè la restituzione dell’area ad usi produttivi o sociali specificamente e preventivamente individuati, compatibili con le previsoni del PRGC vigente;
- che il rimodellamento consista nel complesso delle operazioni, dettagliatamente descritte nel progetto, atte a restituire all’area una morfologia idonea ad i successivi usi produttivi e sociali;

Il co. 2 recita :  L’utilizzo dei rifiuti nelle attività di recupero di cui al comma 1 è sottoposto alle procedure semplificate previste dall’articolo 33, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, a condizione che:
a) i rifiuti non siano pericolosi;
La pericolosità del rifiuto deve essere esclusa attraverso le necessarie analisi di caratterizzazione dello stesso, conformemente a quanto stabilito dall’Allegato 1 al D.M. 3 agosto 2005.

b) sia previsto e disciplinato da apposito progetto approvato dall’autorità competente;
La comunicazione di inizio attività di cui agli artt. 214 e 216 del D.L.vo 152/2006 possa essere presentata alla Provincia solo dopo che sia stato rilasciato dal Comune competente il permesso di costruire di cui all’art. 10 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
c) sia effettuato nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche previste dal presente decreto per la singola tipologia di rifiuto impiegato, nonché nel rispetto del progetto di cui alla lettera b);
Tale condizioni è legata alla precedente: il progetto presentato in Comune deve essere lo stesso presentato in Provincia.
d) sia compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area da recuperare.
I progetti relativi ad interventi di recupero ambientale dovranno essere corredati da una dettagliata relazione atta a descrivere in maniera esaustiva il complesso delle caratteristiche del sito, al fine di individuare le tipologie di rifiuti più idonee alle finalità del ripristino. 
d-bis) in ogni caso, il contenuto dei contaminanti sia conforme a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione della specifica destinazione d’uso del sito.”
Si riferisce alla Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte quarta del D.L.vo 152/2006.





MONTAGGIO PREFABBRICATI - CIRCOLARE N. 13/1982


CIRCOLARE N. 13/1982 - è ancora VALIDA?

La circolare è divisa in tre parti. 
La Parte I è superata, ormai le attrezzature anticaduta hanno una notevole letteratura e l'analisi degli effetti della eventuale caduta sono oggi ampiamente trattati.
La Parte II contiene istruzioni per l'impiego di reti di sicurezza, poco impiegate nella realtà cantieristica.
La Parte III contiene invece moltissime istruzioni ancora valide.

MODIFICHE SOSTANZIALI IPPC


CRITERI PER L'INDIVIDUAZIONE DELLE MODIFICHE SOSTANZIALI IPPC


Sono da ritenersi modifiche sostanziali:

  • per i complessi produttivi in cui sono svolte attività per le quali l'All.VIII del d.lgs. 152/06 (ex. All.I del d.lgs. 59/05) indica valori di soglia, le modifiche per le quali si ha un incremento di una delle grandezze oggetto della soglia pari o superiore al valore della soglia medesima, oppure le modifiche per le quali si verifica un aumento del 50 % della grandezza di soglia autorizzata qualora tale valore risulti inferiore alla soglia medesima;
  • per i complessi produttivi con attività per le quali il medesimo allegato di cui sopra non indica i valori di soglia, sono da ritenersi modifiche sostanziali le modifiche che comportano un incremento della capacità produttiva degli impianti di un valore pari o superiore al 50% del valore della capacità produttiva di progetto autorizzata nel provvedimento AIA iniziale. E' modifica sostanziale una modifica dell'attività IPPC (per le quali non viene indicato il valore di soglia) soggetta a verifica di VIA.